giovedì 15 marzo 2018

Tokyo Ghost: La metafora generazionale travestita da favola Sci-Fi

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A pochi giorni dall'uscita in libreria del secondo ed ultimo volume di Tokyo Ghost cerchiamo di tirare le somme di questa miniserie in 10 numeri, scritta da Rick Remender e disegnata da Sean Gordon Murphy.
Remender è forse uno degli autori più in voga del momento nel comicdom americano. Non è difficile imbattersi nelle sue produzioni di questi tempi, dato specialmente che tende ad accompagnarsi con disegnatori di un certo calibro: Matteo Scalera, Greg Tocchini, Jerome Opena. Solo per citare i suoi lavori per la Image. Con colpevole ritardo ho avuto modo solo nell'ultimo mese di riscoprire quest'autore, grazie agli sconti che Bao Publishing ha praticato sulle edizioni digitali prima e su quelle cartacee poi di Black Science. Fiducioso, mi sono quindi lanciato nel recupero di Tokyo Ghost, incuriosito dal ritorno di fiamma per Sean Gordon Murphy, artista(più come disegnatore in realtà) che avevo amato su Punk Rock Jesus. Vediamo quindi cosa ne penso al termine della lettura del secondo volume.

Progresso vs Natura

La storia è ambientata in futuro post-apocalittico, iper-tecnologico, iper-eccessivo ed iper-volgare. Iper-tutto insomma. Tokyo Ghost ci parla delle vicende di due agenti delle forze dell'ordine di L.A: Deborah e Teddy (detto Orsetto Led) Dent. Lei, ragazza dai capelli bianchi, mingherilina e punkettosa. Lui, un colosso di steroidi in moto che può accompagnare solotalmente strafatto e avulso dalla realtà da sembrare il burattino di lei. Insieme formano una coppia che amministra l'ordine pubblico in modo commisurato alle follie della città in cui vivono. Los Angeles è infatti popolata da un esercito di "zombie", uomini e donne totalmente assuefatti dalla tecnologia e bombadati in ogni istante dai social media, da sembrarne 'strafatti'. A questa follia sociale si contrappone Tokyo, da sempre nota per la conciliazione di innovazione e antiche tradizioni. Qui, l'umanità ha rifiutato il progresso tecnologico in favore della completa riconciliazione con la natura. Inutile dire che queste due tendenze sono destinate a scontrarsi, e Tokyo Ghost non mancherà di stupirvi nel farlo. Come potrebbe accadere questo? Facile:
  1. Prendi un miliardario (Mr.Flack) con l'uccello all'aria desideroso di impossessarsi delle risorse giapponesi - perché si sa, gli americani i cazzi loro non se li fanno mai
  2. Gli appioppi lo scagnozzo schizzato di turno (Davey Trauma)
  3. Affidi ai due polizziotti (con qualche problema coniugale) il compito di infiltrarsi nella comunità giapponese
  4. Il danno è fatto
E A Z Y.

Il Sci-Fi come metafora generazionale

In Tokyo Ghost, Remender analizza le incredibili controversie dell'era dell'informazione e dello sviluppo tecnologico. Decisamente non un tema particolarmente originale ma, nonostante qualche esitazione, la storia sta in piedi con le sue gambe. Dopo tanti pareri positivi, pensavo di aver finalmente trovato il passo falso dello scrittore, ma così non è stato. Si, perché il tema fa solo da cornice ad una interessante metafora generazionale. La nemesi infatti, è solo l'ennesima maschera dietro cui si nasconde la sconsideratezza delle generazioni passate. Le stesse che hanno permesso il raggiungimento dello status attuale delle cose. Di fronte a questa miseria, l'uomo comune ha solo due scelte di fronte a se: voltarsi dell'altra parte e tentare la misera fuga in un mondo virtuale o combattere violentemente un sistema ormai troppo marcio per liberarsi da solo.
In questa cornice si inseriscono i nostri personaggi. Un mondo malato, violento. Dove le inibizioni sessuali sono del tutto assenti. Pensate per un attimo a Mr.Flack e capirete immediatamente di cosa sto parlando. Dove le forze dell'ordine agiscono con la medesima efferata violenza dei criminali che perseguono. Lo stesso Led, combatterà la stessa dipendenza che i genitori gli avevano crudelmente insegnato ad odiare. Il genere è stato talmente sfruttato da rendere i richiami, sia cinematografici, sia fumettistici sin troppo evidenti. Dagli inseguimenti frenetici alla Mad Max, alla lucida violenza alla Judge Dreed. Dalle atmosfere del Ronin di Frank Miller agli ologrammi pubblicitari di Blade Runner o Ghost in the Shell. La miniserie riesce comunque a salvare la sua dignità come prodotto a se stante.

Un ritorno in grande stile per Sean Murphy

 Non so voi, ma io dopo Punk Rock Jesus avevo perso completamente di vista Murphy. Il nostro rapporto si era interrotto bruscamente sul finale (troppo frettoloso) della sua opera solista sotto l'etichetta Vertigo. E' vero, ha fatto anche altro - tipo Chrononauts e The Wake con Millar e Snyder - ma nulla di particolarmente brillante. Qui invece il suo tratto fa la differenza. Perché se non vi aggrada la violenza gratuita e disinibita di Tokyo Ghost e non vi 'garba' nemmeno l'allegoria che c'è dietro, le tavole di Sean G. Murphy valgono da sole la spesa. Come se compraste due artbook. Campi lunghi e  primi piani. Splash page e pagine doppie. Una prova a 360° per l'artista americano. Si sa, lo stile graffiante e sporco di Murphy funziona da dio nelle sequenze d'azione (meglio se inseguimenti), ma in Tokyo Ghost possiamo anche apprezzarne lo stile "addolcito", più morbido nelle matite e più posato con le chine. Strutturalmente passa dalla classica griglia a composizioni libere, delizie per gli occhi e ingranaggi pregiati dello storytelling.
Il tutto è reso ancora più appagante dai colori meravigliosi di Matt Holligsworth, che rende le atmosfere di Los Angeles e Tokyo una vera e proprio goduria per gli occhi. Poche le occasioni come questa in cui il colore si amalgama così bene con la narrazione, enfatizzandone i momenti clue, le atmosfere e lo stato d'animo dei personaggi. Poco altro da aggiungere graficamente è un piccolo gioiellino.


In conclusione: molto bene ma non benissimo

Appianando l'entusiasmo si può dire però che Tokyo Ghost non sia un'opera priva di difetti. In certo senso tra quelle che ho letto finora di Remender, quest'opera non è allo stesso livello di altre sue sceneggiature. Non tanto per il tema già ampiamente sviluppato, quanto per gestione poco ragionata della storia. Ci sono dei punti non molto chiari. Lo stacco tra il primo e il secondo volume l'ho sentito particolarmente. Inoltre in alcuni frangenti la vicenda accelera un po' troppo, tagliando fuori alcune parti. Altre questioni rimangono un po' appese, certe altre non vengono sviluppate per nulla, altre ancora accadono senza troppe spiegazioni. Nulla di troppo compromettente sia chiaro, semplicemente sarebbe stato meglio prendersi più tempo piuttosto che chiudere tutto in 10 numeri. Va detto anche che rimane in ogni caso una miniserie estremamente godibile. Se poi vi piace questo genere di tratto potreste andare anche a scatola chiusa.
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Buonsalve!

Devil: Man without Fear – Segni (e disegni) lasciati dal ciclo Miller


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Devil, uomo senza paura

C’è voluto del tempo per colmare questa enorme lacuna tra le mie letture ma alla fine ce l’ho fatta. Ho accantonato pile e pile di volumi comprati recentemente e mi sono preso il mio spazio per dedicarmi interamente allo storico ciclo di Frank Miller su DareDevil. Il ciclo in questione è raccolto dal mastodontico Omnibus pubblicato da Panini Comics e rappresenta forse la run più famosa, più celebre del personaggio di Devil, nonché la più popolare del maestro in casa Marvel.